Facciamo un po’ di chiarezza sul virus Sars-Cov-2. Cosa sono i coronavirus e come li contrastano i raggi UVC?
In questi mesi nuove ricerche scientifiche hanno provato a dare risposta ai dubbi del mercato relativi all’uso dei raggi UVC su Sars-Cov-2 meglio conosciuto come Covid-19, appartenente alla famiglia dei coronavirus.
Per chiarire alcuni aspetti del virus Sars- Cov 2 bisogna fare un passo indietro e distinguere la natura dei virus da quella dei batteri. I batteri sono microrganismi autonomi che possono replicarsi da soli, contrariamente ai virus, i quali sono molecole di DNA, in grado di riprodursi solo in presenza di un ospite. Per tale ragione questi ultimi non possono essere sconfitti con un antibiotico ma richiedono l’intervento di un vaccino antivirale. Ad oggi nessun vaccino è disponibile contro Sars-Cov-2 che per struttura e composizione è molto simile ad altri virus della stessa famiglia già conosciuti, come SARS (Severe acute respiratory syndrome) e MERS (Middle East respiratory syndrome). La similarità di questi virus ha condotto però all’utilizzo di metodi di sanificazione esistenti come prodotti chimici o tecnologie a raggi UVC al fine di combattere il nuovo nemico.
La diffusione del Covid-19 è dovuta alla velocità di trasmissione, nettamente superiore a quella dei cugini SARS e MERS con la differenza che il tasso di mortalità è intorno al 2-3%. Il virus può essere trasportato per contatto indiretto o diretto attraverso le goccioline respiratorie, propriamente dette droplet, soprattutto in caso di tosse o starnuti. Le goccioline possono infatti contenere cellule batteriche o particelle virali che vengono trasportate nell’aria o depositate sulle superfici. Diversi studi scientifici mostrano come il virus Sars- Cov-2 possa sopravvivere sulle superfici fino a nove giorni. Pulizia e sanificazione di tutti gli ambienti sono quindi pratiche molto importanti poiché riducono notevolmente il rischio di contagio.
Da oltre un secolo è noto l’effetto germicida dei raggi ultravioletti contro virus, funghi e batteri. Tuttavia, la sensibilità del Covid-19 agli UVC è ancora oggetto di ricerca, benché siano stati pubblicati i primi studi scientifici in merito.
Da oltre vent’anni, si sta studiando il grado di suscettibilità dei coronavirus. Tutti questi studi riassunti in tabella 1 (W.J.Kowalski, T. Walsh, V.Petraitis 2020) indicano valori compresi tra 7 e 2410 J/m2, per produrre una riduzione D90 (inattivazione del 90% della carica virale). Escludendo gli outliers, la media della dose energetica è 47 J/m2. Questa rappresenta piuttosto fedelmente la suscettibilità ai raggi ultravioletti dei coronavirus, ed infatti anche i recentissimi studi di Bianco e Inagaki, sul Covid-19 confermano questo valore (ndr. Precisamente a 27 J/m2).
In conclusione, è presumibile supporre l’efficacia della tecnologia UV-C rispetto al Sars-Cov-2, sulla base delle evidenze scientifiche relative a test di laboratorio effettuate su altri coronavirus correlati.
Peraltro, l’impiego della tecnologia a raggi UVC è ormai ampiamente dimostrato come efficace per la sanificazione degli ambienti. Si consiglia infatti l’uso di sistemi UVC a seguito della pulizia delle superfici per mezzo di prodotti chimici, normalmente impiegati. Anche l’ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers) raccomanda l’irradiazione germicida ultravioletta come strategia per fronteggiare la trasmissione della malattia da Covid-19 (ASHRAE 2020). I sistemi a raggi UVC sono infatti fortemente indicati perché abbattono la carica virale in ambienti chiusi, in maniera sicura ed efficace, riducendo i rischi di contagio e la necessità di una continua diluizione con aria esterna (scomoda nei mesi invernali).